martedì 29 dicembre 2009

L'economia dei rifiuti

Nella situazione odierna, uno dei problemi che affligge maggiormente l'ambiente è lo smaltimento dei rifiuti, che provengono per la stragrande maggioranza dai paesi più industrializzati. La situazione è grave a tal punto che è ormai tecnica assodata dei governi l'esportazione dei rifiuti nei paesi poveri. Sebbene questo problema dovrebbe stare a cuore ad ogni abitante del nostro pianeta, solo in pochi sembrano preoccuparsene, o almeno da preoccuparsene a tal punto da cambiare le proprie abitudini di cittadino consumista. E' anche vero che questo è uno di quei problemi considerati "a lungo termine", e si sa che la natura umana tende a curarsi poco di ciò che non lo tocca personalmente. Piuttosto si tende ad adottare soluzioni temporanee come appunto l'esportazione dei rifiuti, o seppellirli sotto terra seguendo la logica, penso ereditata dai geni che condividiamo con le scimmie, "lontano dagli occhi, lontano dal cuore".
In questo contesto è lo stato che deve farsi carico di trovare delle soluzioni a lungo termine e sicuramente più efficaci di quelle utilizzate fino ad ora. Già in un post precedente avevo scritto che la fonte primaria di rifiuti sono gli imballi alimentari e che centralizzando la ristorazione, questi si potrebbero ridurre drasticamente. Per trovare un'altra soluzione basta porsi una semplice domanda: "qual'è la leva che posso usare per convincere tutti a inquinare meno?". La risposta è immediata: il denaro. Il ragionamento è semplice: invece di far pagare una tassa fourfaittaria sui rifiuti, introdurre una tassa, che le aziende pagano all'atto della produzione di qualsiasi bene di consumo, proporzionale ai suoi costi di smaltimento e all'inquinamento prodotto. Sebbene sembri razionale tenere in considerazione i costi di smaltimento, qualcuno potrebbe obiettare sul fattore inquinamento. Quello che sfugge in questi casi è che la terra è un bene e ha un valore; anche la salute è un bene e ha un valore. Quindi se qualcuno, producendo inquinamento, riduce il valore di questi bene, che appartengono a tutti, deve in qualche modo ricompensarli per il bene perduto. Per calcolare l'ammontare di questa tassa bisogna quindi tenere in conto la percentuale del prodotto che può essere riciclata, i costi di disassemblaggio per separare la parte riciclabile da tutto il resto, l'inquinamento prodotto dalle parti non riciclabili, i costi energetici sia del processo di produzione sia di quello di smaltimento e infine l'efficenza energetica del prodotto stesso se energivoro. L'ammontare della tassa deve essere visibile in tutti i punti di distribuzione del prodotto, in modo che il consumatore sia informato sull'inquinamento generato e sull'efficenza energetica del prodotto che desidera acquistare.
Per scoraggiare i produttori ad applicare politiche di obsolescenza programmata, tecnica introdotta intorno agli anni 50 per incrementare le vendite, si dovrebbe alzare per legge il numero di anni in cui il prodotto è in garanzia dal produttore. Inoltre la somma del costo dei singoli componenti di ricambio non deve superare quello del prodotto finito. Tenere alto il costo dei pezzi di ricambio permette infatti sia di scoraggiare la riparazione a favore dell'acquisto di un nuovo prodotto ottenendo un maggiore guadagno, sia di far scomparire dalla circolazione i prodotti più datati in modo da aumentare l'obsolescenza percepita. Infatti più il consumatore è circondato da nuovi modelli del suo prodotto, più aumenterà il suo disagio e la tentazione di fare un nuovo acquisto.
Può invece essere dato un bonus ai prodotti che offrono la possibilità di aggiornare facilmente le componenti che subiscono una rapida evoluzione tecnologica. Ad esempio nei notebook alcuni componenti come la tastiera, il touchpad, il monitor, restano sostanzialmente invariati per parecchi anni, metre quello che cambia di continuo è il processore, la quantità di memoria, RAM e del disco fisso. Spesso inoltre dopo pochi anni il supporto software all'hardware datato viene sospeso.
Con degli accorgimenti di questo genere il consumatore viene tutelato dalle tecniche attuate dai produttori per incrementare le vendite, quindi si inquina di meno e si paga solo per i rifiuti che effettivamente si producono.
Sebbene il calcolo di questa tassa, che deve essere effettuato per ogni prodotto messo in commercio, può sembrare un onere troppo grande, bisogna considerare la spinta che può dare ai produttori affinchè producano prodotti sempre meno inquinanti, e la ricompensa data al cittadino che produce pochi rifiuti. Inoltre se paragonato ad altre tecniche che sono state proposte come la raccolta di rifiuti porta a porta, questa soluzione sembra di più semplice realizzazione e di minor costo.

P.S. Vorrei segnalare questo video molto interessante sulla storia delle cose.

1 commento:

dubrox ha detto...

l'esportazione dei rifiuti, o seppellirli sotto terra seguendo la logica, penso ereditata dai geni che condividiamo con le scimmie, "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" - Eheheh, tristemente d'accordo!

Concordo con la tua proposta, ed a mio parere la "soluzione" della raccolta porta a porta non è una soluzione, dato che -come per altro hai osservato tu stesso- le imprese produttrici non sarebbero in alcun modo incentivate a diminuire la quantità di imballaggio ed i costi (economici ed ecologici) di produzione... si sentirebbero già degni di merito per aver scritto nel loro bell'imballaggio di tetrabpack "confezione riciclabile" :\

L'unica soluzione, a mio parere, è tassare un pò tutti, utenti e produttori, considerando il livello di responsabilità all'interno della linea di contaminazione, in base alla quantità di rifiuti non riciclati/bili prodotta.

PS: ottimo post, continua così :D